Il porticciolo è posizionato sopra ad un più antico molo romano, ora scomparso, ma molto ben descritto da Ireneo della Croce, storico triestino del XVII secolo, e da Pietro Kandler, studioso ottocentesco.
Il porticciolo di Cedas ha quindi origini romane: era più ampio dell’attuale e poteva ospitare non meno di 60 legni minori. A monte di questo furono ritrovati dei resti di una villa risalente alla seconda metà del secondo secolo d.C. Tutta la zona divenne più tardi proprietà della famiglia Conti che dal luogo trasse nel 1650 il suo predicato nobiliare. La loro villa, ora di proprietà Janesich, fu particolarmente cara a Giusto Conti per la particolare salubrità che egli attribuiva al luogo, rimasto indenne dal contagio durante le epidemie di colera che infierirono a Trieste nel 1836, 1849 e 1855. Tre cippi, ancora esistenti, testimoniano con altrettante epigrafi la sua gratitudine. In prossimità della villa sorgeva nell’800 la batteria di cannoni di Cedas. Aveva un corpo di guardia fisso ospitato nella robusta casa in arenaria ubicata all’altezza del porto, che venne donato alla città nel 1885 come testimonia una lapide murata all’estremità del suo braccio maggiore.
Ireneo della Croce (1698, lib. III; cap. XI, p. 266) ) descrive questo porto insieme con quello di Sistiana e Grignano, attribuendo a tutti la stessa forma, quadrangolare, forse con molo a U, e la stessa profondità (oltre m 1.5): “nella valle di Sistiana, conservati ancora alcuni avanzi di altri tre porti, tutti di figura quadrata, spaziosi alcuni più degli altri, il cui recinto ancora intero, e senz’imaginabil rottura, che d’ammiratione apparisce nelle Secche del Mare, buona parte scoperto dall’acque, quali ordinariamente coprono i medesimi Porti oltre cinque piedi d’altezza”. Kandler riferisce che “a Cedas vi ha porto piccolo da barche, opera dei Conti, fatto entro bacino di porto antico maggiore rimasuglio di opera romana”; secondo lo studioso questo porto moderno “meglio che altri conservi le traccie dell’antica condizione” e ne da la pianta; il molo maggiore, a U (con il secondo tratto curvilineo e il terzo molto ridotto e non perfettamente parallelo al primo) misura 76 m (40 tese viennesi), quello minore 53 m (28 tese viennesi); racchiudono uno specchio subrettangolare di 2130 mtq ca (1120 tese quadrate).Il braccio maggiore aveva una cintura esterna di protezione, costituita da una gettata a pietre sciolte, un muraglione e la banchina interna. Il braccio minore rettilineo era costituito dalla sola banchina (“tutto ambulacro”).
La storia recente:
Pescatori di Contovello
Nei tempi più recenti e fino agli anni 50 i “pescatori del Carso ” di Contovello scendevano più volte al giorno lungo uno stretto sentiero , ancora percorribile, fino al porticciolo del CEDAS per la pesca del tonno. La sede attuale era infatti il magazzino delle attrezzature e delle reti. In questo servizio, realizzato in occasione dell’evento “Porti Magici ” promosso dalla Provincia di Trieste in accordo con il direttivo CEDAS , nel luglio 2015, viene raccontata con immagini, documenti ed una bella intervista ad uno di quei pescatori ( Vincenzo Candelli), la vita faticosa e genuina di quei giorni.